Quando pensiamo alla guerra, qualunque essa sia, la nostra mente ci rimanda immagini angoscianti relative alle innumerevoli vittime provocate dai conflitti. Per quanto il problema dei morti e dei feriti rappresenti indubbiamente una vera e propria disgrazia, la verità è che ne esiste un altro altrettanto letale, che viene però tristemente ignorato.
Sto parlando dei danni ambientali della guerra: una piaga decisamente poco conosciuta ma in grado di procurare conseguenze devastanti anche alle persone, che vengono (volutamente) tenute all’oscuro della sua pericolosità. In questo articolo ti svelerò qualche dato collegato ai danni che la guerra è in grado di procurare all’ambiente e, al termine della lettura, lascerò che sia tu a trarre le dovute conclusioni.

Guerra e impatto ambientale: un connubio devastante
Che tu ci creda o no, l’impatto ambientale della guerra è qualcosa di devastante. Ti basti pensare che, se le forze armate fossero un paese, esso si posizionerebbe al quarto posto per le emissioni carboniche, arrivando quindi a superare le Russia!
Ma non è tutto. In aggiunta a questo dato allarmante, si stima anche che l’intero comparto militare sia responsabile del 5,5% delle emissioni di gas serra mondiali. E sto parlando di stime al ribasso, che non includono:
- i danni provocati dagli incendi;
- quelli causati dalla costruzione delle infrastrutture militari;
- i danni all’ecosistema;
- i danni alla salute umana;
- quelli causati dalle emissioni derivanti dalla ricostruzione post – bellica;
- i danni procurati dall’assistenza sanitaria ai sopravvissuti.
Come vedi il quadro è altamente drammatico e, come se ciò non bastasse, occorre poi considerare le problematiche causate dalle emissioni provocate dal trasporto aereo e marittimo. Emissioni che vengono addirittura classificate come “civili”!
Ma il problema delle emissioni di gas serra è soltanto la punta dell’iceberg, tanto più se consideriamo il fatto che gli impatti ambientali della guerra iniziano a farsi sentire ancora prima che scoppi.
Come funziona la filiera bellica e quali sono le conseguenze sull’ambiente
Il rapporto deleterio che intercorre tra guerra e ambiente è molto più complesso e intricato di quanto tu possa immaginare. Questo perché, prima ancora di scoppiare “ufficialmente”, la guerra è protagonista di una drammatica filiera, che inizia sin da subito a mostrare effetti deleteri sull’ambiente.
Pensa, per esempio, a tutto ciò che serve per la sola costruzione di un esercito: terre rare, metalli comuni, acqua, gas, petrolio e processi industriali vari sono soltanto l’inizio. A tutto questo occorre infatti aggiungere lo sfruttamento scellerato delle risorse del suolo, che può tradursi nel disboscamento incontrollato per fare spazio alle future infrastrutture belliche.
Una delle stime più drammatiche effettuate ha calcolato che ben il 6% delle terre emerse sia attualmente dedicato alle attività militari e alle relative esercitazioni. Inutile specificare che si tratta ovviamente di zone ricche di biodiversità, vittime di drammatiche conseguenze su flora e fauna.
Ma non è finita qui. Tutte queste armi pesanti e le varie attività belliche devono poi essere sposate sul luogo del conflitto. E qual è il combustibile usato per tali spostamenti? Ovviamente il petrolio. Caratterizzato da una bassissima efficienza a fronte di un elevato impatto ambientale, questo combustibile è responsabile di impressionanti immissioni di gas serra nell’atmosfera. Qualche esempio?
- un carrarmato consuma fino a 300 litri di carburante per soli 100 km, immettendo nell’atmosfera 600 kg di CO2;
- un caccia F35 può consumare fino a 400 litri di carburante ogni 100 km percorsi, immettendo nell’atmosfera 20mila kg di CO2 per ogni sessione di volo.
E tutto questo prima ancora che la guerra scoppi!
Cosa succede quando la guerra scoppia
Una volta scoppiata la guerra, le cose non migliorano di certo. Pensa solo agli innumerevoli agenti inquinanti rilasciati nell’atmosfera dagli esplosivi che, raggiungendo temperature elevatissime, arrivano al punto di “sterilizzare” letteralmente il suolo, annientando qualsiasi forma di vita.
Per non parlare poi degli effetti a lungo termine sull’ambiente! L’acqua potabile della Bosnia risulta ancora contaminata dall’uranio impoverito rilasciato durante i conflitti bellici degli anni Novanta. Oppure, se preferisci un esempio più tragicamente recente, pensa al bombardamento della diga Kakhova in Ucraina, responsabile dello sversamento di 150 tonnellate di petrolio nel mar Nero.
Lo sai qual è stata una delle conseguenze più drammatiche? Prima dello scoppio della guerra, i delfini spiaggiati ammontavano a circa 3 all’anno. Un anno dopo sono arrivati a ben 2500 esemplari spiaggiati, fermo restando il fatto che molti di essi affondano direttamente, motivo per cui non sapremo mai il numero preciso.
E vogliamo parlare dei vertebrati terrestri? Nelle zone di guerra, il 90% di essi viene ucciso dalle esplosioni, mentre i rimanenti divengono preda dei soldati in penuria di cibo: una vera e propria ecatombe! Dulcis in fundo, occorre poi considerare le problematiche ambientali provocate dallo smaltimenti delle armi, che possono essere:
- buttate in mare;
- oggetto di esplosione;
- bruciate a cielo aperto.
In quest’ultimo caso, gli agenti nocivi emessi durante il processo di combustione vengono liberamente rilasciati nell’aria, finendo nei polmoni degli sfortunati che vivono in quelle zone, i quali finiscono inevitabilmente per ammalarsi di cancro o di patologie altrettanto letali.
Come puoi capire tu stesso, pertanto, la questione dei danni ambientali della guerra è altamente drammatica, soprattutto se consideriamo quanto sia poco conosciuta. La domanda è: perché viene tanto ignorata?
Guerra e danni ambientali: un affare redditizio
Viviamo nell’era del cambiamento climatico: un periodo in cui essere ecologisti è diventato quasi un “obbligo”, al punto che tutti (o quasi) i settori lavorativi stanno abbracciando l’ottica “green”. Perché il settore bellico non fa parte di questo cambiamento globale?
La questione relativa alle emissioni di gas serra in ambito militare è stata affrontata già nel 2015, durante l’Accordo di Parigi. Ciò nonostante, non è stata imposta alcuna restrizione, con la conseguenza che i governi di tutto il mondo non devono sottostare ad alcun limite o misura. In parole povere: in guerra tutto è permesso, anche l’inquinamento ambientale!
E se ti stai giustamente domandando come sia possibile tutto ciò, ti rispondo con un semplice dato, risalente al 2022: l’anno scorso la spesa militare globale ha infatti raggiunto la stratosferica cifra di 2240 miliardi di dollari!
Se questo dato da solo non fosse sufficiente, sappi che un rapporto del Vertice di Glasgow ha calcolato che i paesi più ricchi spendono mediamente 2,3 volte di più per la militarizzazione dei confini, per evitare l’ingresso anche di rifugiati climatici, anziché per le misure atte a prevenire il riscaldamento globale.
E si tratta soltanto di una media generalizzata. Tanto per farti degli esempi più precisi, il risultato raggiunto dagli Stati Uniti ammonta a ben 11 volte di più, e quello dell’Australia addirittura a 13! Del resto, parliamo di paesi che bloccano sistematicamente i rifugiati in fuga dai disastri ambientali: disastri provocati anche dalla guerra.
Conclusione: facciamo il punto
A fronte di quanto detto e delle informazioni di cui sei entrato in possesso, sei quindi libero di trarre da solo le tue conclusioni. Conclusioni che, come avrai certamente capito, non ci porteranno a nulla di buono.
Ti starai chiedendo, cosa possiamo fare?
Probabilmente ben poco, ma avere la consapevolezza di quanto sia assurdo tutto ciò è necessario.
About The Author: Michele Ricci
- BioArchitetto specializzato nelle costruzioni in legno e balle di paglia.
- Fondatore di CaseInPaglia.it
- Fondatore di Archética, studio di progettazione sostenibile.
- Vincitore del Premio BAM "Bio Arquitectura Mediteranea" a Barcellona.
- Medaglia di bronzo alle "Olimpiadi della Sostenibilità in edilizia"
- Curatore della rubrica "Architettura & Casa" della testata giornalistica CorriereDelConero.it
- Light-Designer
Vegan e surfista,
guardo e affronto le sfide del XXI secolo con una prospettiva rivolta alla progettazione sostenibile ed uno stile di vita etico
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