
Green, eco friendly, sostenibilità, eco compatibilità: sono tutti termini che hanno un peso sempre maggiore nelle scelte d’acquisto di tutti noi. Sempre più persone preferiscono prodotti a basso impatto ambientale o che rispettino precisi valori etici.
Ma siamo sicuri che quanto dichiarato dai produttori, in termini di sostenibilità ed ecocompatibilità, corrisponda sempre al vero?
Il greenwashing è una pratica che sta divenendo sempre più nota, ma che non è sempre facile da individuare:
si tratta di aziende che millantano scelte etiche, in fatto di ambiente, salute, e diritti, per distogliere l’attenzione dalle loro pratiche produttive e dalle scelte aziendali che con tutti questi valori non hanno nulla a che fare.
Non è detto che si tratti di vere e proprie menzogne: a volte, piccole azioni sostenibili vengono comunicate per distogliere l’attenzione da altre azioni dal pessimo impatto ambientale.
Ecco qualche esempio celebre di greenwashing e una riflessione su come distinguere le vere case ecologiche da quelle che si autoproclamano tali, senza esserlo davvero.
Greenwashing: la definizione
Il neologismo greenwashing è formato da due termini:
- Green che ovviamente, riporta al verde, il colore che viene associato alla natura e al benessere
- Washing che sta per whitewash, ovvero significa nascondere, insabbiare.
Al di là dell’origine del suo nome, il greenwashing può essere definito come una pratica di marketing e comunicazione, messa in atto da aziende e partiti politici, volta a dare un’immagine di sé come attenta ai temi della salute, della sostenibilità ambientale e dei diritti umani, non solo per indurre i consumatori a scegliere i propri prodotti, ma, spesso, proprio per distogliere l’attenzione dal loro vero modo di operare, che va in direzione completamente opposta.
È emblematico pensare come, spesso, queste aziende spendano più per questo tipo di campagne di marketing che per diminuire realmente il proprio impatto ambientale.
Greenwashing: esempi di aziende nel mondo
La storia del greenwashing inizia negli anni Novanta, in concomitanza della nascita, nei consumatori, di un’aumentata sensibilità ai temi etici ed ambientali. Multinazionali come DuPont, Chevron, Bechtel dell’American Nuclear Society, e la Compagnia di Plastics Industry sono state tra le prime a ideare azioni strutturate, riconosciute come greenwashing.
Gli esempi di greenwashing sono innumerevoli. Negli anni, infatti, abbiamo assistito a moltissime campagne in sostegno di temi green, proprio da parte di multinazionali da sempre conosciute per le loro pratiche industriali selvagge.
Greenwashing e moda: i casi Zara e H&M
La creazione di gadget sostenibili o la scelta di determinati materiali per un singolo prodotto simbolo (ad esempio per le cannucce o i cotton fioc) sono spesso il modo per convincere il consumatore della propria attenzione verso l’ambiente che viene, poi, completamente ignorata nella produzione di tutti gli altri prodotti.
Di greenwashing, in questo senso, è stata accusata anche Zara, il noto brand di abbigliamento, con la sua JoinLife Collection, che, secondo l’esperto di sostenibilità ambientale nella moda Matteo Ward, non poteva essere ritenuta credibile perché includeva capi non riciclabili.
Alcune volte, per dare un’immagine green di sé, le aziende ricorrono semplicemente a messaggi evocativi ma incompleti, finendo poi per essere tacciate di greenwashing. È il caso della Collezione “Conscious”, firmata H&M, finita nel mirino della Consumer Authority norvegese perché accusata di non dare informazioni complete ed esaustive sulla reale sostenibilità dei capi.
Il caso Coca-Cola
Ci sono aziende che hanno addirittura cambiato i colori distintivi del proprio brand o del packaging di alcuni prodotti, per preferire il verde e il marrone, con l’intento di portare il cliente a credere nella loro riconversione al green.
È il caso della Coca-Cola “Life”, un prodotto che si è imposto sul mercato come una bevanda sana perché a base di stevia, e si è avvalso di un’etichetta di colore verde.
Un’azione di greenwashing, questa, che non ha avuto vita lunga, visto che in poco tempo il prodotto è stato costretto ad un pesantissimo rebranding.
Sempre la stessa azienda, qualche anno fa in Inghilterra, aveva lanciato la campagna Coca-Cola Zero Park Lives che, con il proclamo di combattere l’obesità, invitava le famiglie a prendere parte ad attività sportive nei parchi cittadini, dando al prodotto un’immagine di integra salubrità.
Casi di Greenwashing in Italia: l’eco bottiglia di Sant’Anna
L’Italia non è esente dalla pratica del Greenwahing.
L’azienda San’Anna, famosa produttrice di acqua del Nord Italia, è stata multata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato per la sua Eco bottiglia, che riportava in etichetta pregi legati alla sostenibilità, maggiori di quelli reali.
Greenwashing ed edilizia
Perché si parla di greenwashing sul sito di Case in Paglia?
Sono due i motivi per cui questa tematica è importante per noi. Il primo riguarda le scelte che un progettista ed un costruttore di case ecologiche deve fare in fatto di selezione di materiali, per difendersi dai casi di greenwashing delle aziende produttrici. Il secondo è legato alle informazioni di cui il consumatore deve poter disporre per scegliere una casa davvero ecologica.
Saper scegliere i materiali sostenibili e salutari per costruire case davvero green.
Anche se raramente in Italia i casi di greenwashing attirano l’attenzione mediatica che meriterebbero, il settore dell’edilizia è fatto di grandi aziende multinazionali e non che stanno già facendo attività di greenwashing.
Un professionista o un’azienda costruttrice seria, specializzata nella costruzione di case ispirate alla bioarchitettura, deve essere in grado di distinguere materiali davvero green da quelli che vogliono solo apparire tali, e questa è una garanzia di professionalità nei confronti del cliente.
Oggi è diventato tutto Bio ed eco-friendly, ma è veramente così?

Saper riconoscere una vera casa ecologica
Quante volte abbiamo sottolineato che a una vera casa ecologica non basta una struttura in legno? Certo, non parliamo di multinazionali, ma di costruttori, e, spesso, per dire la verità, non si tratta di pratiche ingannevoli ma solo frutto di una mancata conoscenza, però far credere che ad una casa basti una struttura in legno per essere green, non è molto diverso dal fare greenwashing…
MI è capitato ultimamente di seguire la comunicazione di un produttore di cappotti in EPS (Poliestirene Espanso Sinterizzato) o comunemente detto polistirolo in cui elogia in maniera sfacciata la sostenibilità dei loro pannelli di origine petrolchimica attraverso una serie di articoli scritti ad hoc per confondere e manipolare il pensiero di chi legge.
Sono molti in realtà i siti di informazione e dei produttori a definire (cito testualmente): naturale e traspirante, l’EPS che, ripeto, è polistirolo cioè composto da aria, carbonio, idrogeno ma anche da stirene che è un derivato dal petrolio.
Lasciando stare in questo articolo la questione puramente tecnica in cui si può dimostrare facilmente che questo tipo di prodotti non sono traspiranti e creano muffe sia all’interno che all’esterno degli edifici, vorrei evidenziare il fatto che definiscono “naturale” un qualcosa che subisce un processo chimico ed altamente industrializzato, composto da derivanti del petrolio, attaccandosi al fatto che tutti gli ingredienti compreso il petrolio si trova in natura. (anche l’uranio si trova in natura se è per questo ma non lo userei in casa…)
Non ti senti preso in giro? Io sinceramente si.
Capisco però che non tutti hanno le competenze per rendersi conto di queste cose, magari ci si fida di un venditore, di un costruttore ma anche di professionista che ti dice che quel prodotto è “naturale” o “sostenibile”. Se lo dice sarà vero, qualcuno controllerà se quello che dice è vero o falso no? Probabilmente no. Probabilmente spesso sono in buona fede anche loro perché convinti di quello che hanno letto, in qualche modo manipolati dall’operazione di marketing e appunto greenwashing dell’azienda produttrice.
Il risultato sono migliaia di famiglie che pensano di aver fatto una ristrutturazione sostenibile o costruito una casa ecologica quando in realtà non è vero. E questo in tempi di Superbonus è un problema in crescita.
Chi cerca una casa, sempre più spesso, è attento ai temi della sostenibilità e della salute ma, purtroppo, non sempre ha le conoscenze per distinguere una casa costruita nel rispetto di questi principi da una che si vende solo come tale.
Noi di CaseInPaglia.it sappiamo bene che una casa ecologica è tale solo se risulta sostenibile e salutare in tutti i suoi aspetti: dalla struttura, ai muri, dagli intonaci al tetto, fino al colore delle pareti e al materiale isolante.
Considerare una casa in legno come un edificio sostenibile semplicemente perché è realizzata con questo materiale è un errore: chi cerca di convincerti di questo o non sa di cosa sta parlando oppure sta cercando di fare del greenwashing!
In questo articolo ho fatto l’esempio del polistirolo che spesso è utilizzato per le ristrutturazioni ma nelle nuove costruzioni sono tanti i materiali che non vanno bene per la Bioedilizia.
Molte case in legno, infatti, usano anche lana di roccia, cartongesso, pannelli OSB e fanno abbondante uso di colle e vernici, che rilasciano nell’atmosfera la formaldeide, una sostanza pericolosa per la tua salute!
Vuoi imparare a difenderti dal greenwashing dell’edilizia e capire come ottenere una casa in paglia davvero ecologica?
Guarda il video super approfondito che abbiamo realizzato per te: ritagliati un’ora nella quale non essere disturbato da nessuno, e potrai avere finalmente tutte le informazioni che ti servono per compiere una scelta davvero consapevole, che ti guidi verso il tuo benessere e quello delle persone che ami!
About The Author: Michele Ricci
- BioArchitetto specializzato nelle costruzioni in legno e balle di paglia.
- Fondatore di CaseInPaglia.it
- Fondatore di Archética, studio di progettazione sostenibile.
- Vincitore del Premio BAM "Bio Arquitectura Mediteranea" a Barcellona.
- Medaglia di bronzo alle "Olimpiadi della Sostenibilità in edilizia"
- Curatore della rubrica "Architettura & Casa" della testata giornalistica CorriereDelConero.it
- Light-Designer
Vegan e surfista,
guardo e affronto le sfide del XXI secolo con una prospettiva rivolta alla progettazione sostenibile ed uno stile di vita etico
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