
Hai mai sentito parlare di moda sostenibile e/o di bioedilizia? Se il secondo termine potrebbe risultarti familiare, il primo potrebbe invece giungerti completamente nuovo. Del resto, se è vero che di bioedilizia, o edilizia bio, si tende a parlare sempre più spesso (anche in virtù di alcune iniziative prese dall’Europa che stanno suscitando parecchie polemiche!), il tema della moda sostenibile risulta invece meno conosciuto, proprio per il fatto che se ne parla ancora poco.
Questo è il motivo per cui sono rimasto piacevolmente sorpreso nel momento in cui, in data 4 maggio, su Rai 3 hanno trasmesso una puntata del programma “Indovina chi viene a cena?” dedicata proprio alla sostenibilità tra moda ed edilizia. Durante la trasmissione, infatti, è stato toccato un tema a me molto caro che, attraverso il mio lavoro, sostengo ormai da più di un decennio.
Ecco perché ho deciso di parlarne nuovamente in questo articolo dove, riallacciandomi a quanto è stato detto all’interno del programma, parto con il farti una domanda molto semplice: come ti sentiresti se scoprissi che la tua pelle emana sostanze tossiche?
La tua pelle è sostenibile?
Leggendo le ultime domande che ti ho posto, probabilmente sarai rimasto sorpreso. La verità è che si tratta di quesiti deliberatamente provocatori con i quali voglio farti capire l’importanza di due grossi ambiti della nostra vita che, chi più chi meno, riguardano tutti noi. Sto parlando della moda e dell’edilizia.
Se, infatti, la prima ha direttamente a che fare con gli indumenti con i quali ci vestiamo, la seconda è invece responsabile delle case in cui abitiamo. Ed è proprio qui che entra in gioco il concetto di “pelle”, in quanto la moda e l’edilizia rappresentano rispettivamente la nostra seconda e terza pelle.
Se, infatti, la prima pelle è quella con la quale nasciamo, la seconda è ovviamente formata dai vestiti che indossiamo, così come la terza dalle case nelle quali viviamo: un po’ come avviene con le bambole Matrioska, tanto per intenderci.
Quindi, riprendendo la prima domanda che ti ho fatto, di certo non reagiresti bene se scoprissi che la tua prima pelle emana sostanze tossiche, preoccupandoti giustamente per la tua salute. E se a essere tossiche fossero invece la tua seconda e/o terza pelle? A logica, anche in questo caso dovresti preoccuparti, giusto?
Del resto, pensaci un attimo: presti una grande attenzione alla tua prima pelle, facendo in modo che sia “sostenibile” ed evitando di contaminarla con sostanze dannose. Un lavoro indubbiamente positivo, ma che rischia di diventare senza senso nel momento in cui non presti la medesima attenzione alla tua seconda e terza pelle, vale a dire ai vestiti che indossi e alla casa in cui vivi.
Detto in parole più semplice: se la tua prima pelle è sostenibile, perché non dovrebbero esserlo anche le altre due? E questo è per l’appunto il concetto che mi sforzo di trasmettere ormai da anni, specialmente per quanto riguarda l’edilizia.
Il problema è che il report portato alla luce dalla puntata di “Indovina chi viene a cena?” di Sabrina Giannini (che ti linko qui sotto invitandoti a guadarla), se da un lato ha avuto il merito di sollevare l’attenzione su una questione spesso ignorata, ha anche evidenziato dei risultati alquanto allarmanti.
Il verde va di moda: ma siamo proprio sicuri?

Il titolo di questa puntata di “Indovina chi viene a cena?” è il “Il verde va di moda”: un chiaro riferimento al fenomeno del greenwashing nel mondo della moda, dove molti degli indumenti mostrati in passerella e spacciati per ecologici (spesso, paradossalmente, di colore verde!) in realtà sono tutto meno che sostenibili. Puoi vedere la puntata qui.
Ho scritto qualche tempo fa un articolo sul tema del greenwashing che puoi leggere qui.
L’indagine condotta dalla giornalista Sabrina Giannini mette infatti in evidenza che i tessuti usati per vestire le modelle (e, di conseguenza, tutti coloro che acquisteranno quei capi) sono in realtà il frutto di una filiera di lavorazione ad elevato impatto ambientale, ovviamente negativo.
E le cose non vanno meglio nemmeno quando si parla della nostra terza pelle. Se, infatti, la sostenibilità nella moda è un concetto ancora estraneo alla maggior parte delle persone, nell’ambito dell’edilizia forse si comincia a osservare qualche timido spiraglio, sebbene i dati messi in luce dalla trasmissione siano ancora preoccupanti.
Tra le persone intervistate, come scoprirai quando guarderai la puntata, figura anche Livia Firth: fondatrice e direttrice creativa di “Eco Age Italia”, un’azienda di consulenza che supporta i brand nella loro trasformazione in marchi sostenibili. Ebbene, durante la trasmissione ha affermato che “Non c’è la moda sostenibile: è il nostro atteggiamento che dev’essere sostenibile”.
Una frase di grande impatto che, per quanto riferita al mondo della moda, funziona altrettanto bene anche nel campo dell’edilizia. Questo perché non riusciremo mai a costruire case interamente sostenibili finché non saranno le persone a pretenderle: il problema è che di questi argomenti si parla troppo poco e, come viene evidenziato molto bene nel corso del programma, a fare ostracismo è proprio il Governo.
Sostenibilità e bioedilizia: due concetti ancora sottovalutati
Oltre al discorso della moda sostenibile, nel programma viene affrontato anche quello relativo alla sostenibilità nell’edilizia: un concetto che noi sosteniamo da sempre attraverso le nostre case in paglia, tecnologia tra l’altro citata e approfondita proprio nel servizio, attraverso l’intervista alla mia amica e collega architetta Tiziana Monterisi, che hanno il merito di essere fabbricate esclusivamente con materiali naturali. E quali sono, precisamente, questi materiali?
Sicuramente la paglia (anche di riso), ma anche il legno, il sughero, la canapa, la lolla di riso e molte altre materie prime vegetali che non vanno a impattare negativamente sull’ambiente e sulla salute: né in fase di costruzione della casa, né a costruzione avvenuta.
Un’abitazione realizzata con materiali naturali, oltretutto, sarà una casa che “respira”. Una casa traspirante, dove l’aria non fatica a passare e dove non vi sarà mai alcun ristagno, proprio per merito del fatto che questi materiali vegetali sono traspiranti e fungono anche da eccellenti isolanti termici, garantendo all’abitazione una temperatura sempre ottimale.
Il paradosso, tuttavia, che viene chiaramente evidenziato durante la puntata, è dato dal fatto che il Governo non fa assolutamente nulla per privilegiare queste soluzioni sostenibili, proponendo una serie di bonus edilizi che, lungi dallo spingere le persone ad avvicinarsi alla bioedilizia, le allontanano sempre di più, mettendole nella condizione di rivolgersi all’edilizia tradizionale, che in realtà di tradizionale non ha assolutamente nulla.
Agevolazioni fiscali molto famose come il Superbonus 110 o l’Ecobonus non hanno portato alcun miglioramento alla situazione. L’Ecobonus, in particolare, di “eco” in realtà aveva molto poco, in quanto i suoi criteri ambientali minimi, paradossalmente, concepivano soltanto i materiali sintetici, imitandosi a richiedere l’introduzione di una componente di riciclato.
Tali criteri, infatti, aggiornati solo di recente, sono stati scritti a tavolino per attribuire un’identità sostenibile a materiali dell’edilizia che sono prodotti con il petrolio, come ad esempio il polistirolo: quello maggiormente impiegato nella realizzazione dei cappotti con il Superbonus 110.
Quando si parla dei materiali isolanti infatti criteri usati dal Governo per testare l’effettiva capacità isolante di un determinato materiale va paradossalmente ad agevolare quelli sintetici come il polistirolo e il poliuretano: due materiali dall’impatto ambientale devastante, soprattutto quando avranno terminato il loro utilizzo e dovranno quindi essere smaltiti.
E pensare invece che gli isolanti naturali, di origine vegetale comne quelli che utilizziamo, hanno prestazioni migliori, specialmente nei periodi di primavera, autunno ed estate grazie al loro elevato sfasamento termico che i prodotti sintetici non hanno.
Il compito del Governo, a questo proposito, dovrebbe essere quello di parlare in modo chiaro, spiegando la grande differenza che sussiste, a livello d’impatto ambientale, tra i materiali artificiali e quelli naturali: poi sarà il committente a decidere di quali preferisce servirsi. Ma prima è giusto informarlo.
Basti pensare, per esempio, che gli scarti di un cappotto realizzato con materiali naturali si può sgretolare e riutilizzare come ulteriore materiale isolante, nonché ristampare in blocchi. Oppure può essere tranquillamente smaltito nell’ambiente proprio perché non è nocivo: discorsi che con i materiali artificiali sono ovviamente impossibili.
E pensare che nel nostro paese produciamo tantissimi materiali di scarto che, anziché essere buttati, potrebbero servire per costruire case ecologiche. Basti pensare agli scarti del riso, come ad esempio la lolla. Una materia prima di questo tipo viene “sprecata” come lettiera per i cavalli, o perfino bruciata, quando invece risulterebbe utilissima all’edilizia. Stessa cosa per la paglia.
Pensa che il riso è composto al 17% dalla silice, un componente chimico che gli permette di non marcire e di resistere nel tempo, evitando anche gli assalti degli insetti. Quanto farebbe comodo nelle nostre case?
E invece il Governo ha preferito aprire la bellezza di 340mila cantieri, sovvenzionati con 58 miliardi di soldi pubblici, tutti caratterizzati dall’impiego di materiali nocivi e altamente dannosi per l’ambiente (nonché per la nostra salute). Per tua fortuna, tuttavia, non sei obbligato a essere parte di tutto questo: ti basta fare una scelta diversa.
Case in paglia: una scelta sostenibile
Le nostre case in paglia rappresentano la perfetta “terza pelle”, in quanto vengono costruite con materie prime 100% naturali, che non impattano negativamente sull’ambiente e, cosa ancora più importante, ti garantiscono un’elevato stato di benessere, permettendoti di vivere in un ambiente più salubre.
Come ti ho già spiegato prima, per fabbricarle ci serviamo non solo di materiali ecologici e sostenibili (in primis la paglia), ma anche di un sistema di costruzione che non crea ulteriore inquinamento, rispettando il suolo e l’ambiente nei quali l’abitazione viene edificata.
In questo video spiego molto bene come qual’è il nostro sistema di progettazione e realizzazione che può accompagnarti sin dai primi passi fino alle chiavi di casa senza stress e preoccupazioni:
Scegliere di abitare in una casa in paglia, pertanto, significa prendere una posizione netta e precisa nei confronti di coloro che ritengono la bioedilizia poco più di una moda passeggera, e anche nei confronti di un Governo che preferisce non affrontare certi argomenti, nonostante sia ormai chiaro a chiunque che la situazione in cui versa il nostro pianeta è ormai insostenibile.
Quindi, se la puntata di “Indovina chi viene a cena” sul problema della fast fashion e dell’edilizia convenzionale è riuscita a scuoterti e a preoccuparti, forse sarai curioso di saperne di più e magari capire nel dettaglio come riconoscere una casa in Vera Bioedilizia.
In questa mia video intervista ne parlo molto bene, rispondendo a una serie di dubbi e quesiti sul tema. Dopo che avrai visionato anche questa, sarai libero di contattarmi per una consulenza personalizzata.
About The Author: Michele Ricci
- BioArchitetto specializzato nelle costruzioni in legno e balle di paglia.
- Fondatore di CaseInPaglia.it
- Fondatore di Archética, studio di progettazione sostenibile.
- Vincitore del Premio BAM "Bio Arquitectura Mediteranea" a Barcellona.
- Medaglia di bronzo alle "Olimpiadi della Sostenibilità in edilizia"
- Curatore della rubrica "Architettura & Casa" della testata giornalistica CorriereDelConero.it
- Light-Designer
Vegan e surfista,
guardo e affronto le sfide del XXI secolo con una prospettiva rivolta alla progettazione sostenibile ed uno stile di vita etico
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